Storia dell'Egitto

DALLA RIVOLUZIONE EGIZIANA DEL 2011 AL REGIME DI AL SISI

La rivoluzione egiziana del 2011, o rivoluzione del Nilo, rientra in un più vasto movimento di protesta, caratterizzato da manifestazioni e disobbedienza civile, verificatosi in tutto il mondo arabo soprattutto a partire dal gennaio di quell'anno.

Tale ondata di proteste ha avuto inizio in Tunisia, paese travolto da una dura crisi economica. Il 17 dicembre 2010 Mohammad Bouaziz, un disoccupato tunisino di 26 anni che sbarca il lunario come venditore ambulante, si dà fuoco, drammaticamente, per protestare contro la polizia che aveva sequestrato il suo banco. La protesta si diffonde in tutta la Tunisia. Ben Ali, il dittatore, è costretto a dimettersi e a fuggire in esilio. La protesta contagia gli altri paesi arabi: prende il via quella che verrà chiamata “primavera araba”. Suscita grandi aspettative: migliaia di persone, per lo più giovani e alfabetizzate, riempiono le piazze. Chiedono democrazia, libertà, lavoro, dignità. I governi autoritari e corrotti che dominano in quegli stati sembrano vacillare. In Egitto Mubarak, autocrate al potere da trent’anni, è costretto ad abbandonare la scena. Ma gli esiti, finora, non sono stati pari alle aspettative. L’unico paese in cui ancora, stentatamente, sopravvive una democrazia è la Tunisia.

Il moto di protesta in Egitto si è inizialmente manifestato attraverso mezzi pacifici ispirati alle proteste organizzate in Tunisia ed in altri paesi arabi. Successivamente le proibizioni del governo, la dura repressione poliziesca e le reazioni dei manifestanti hanno provocato numerosi morti e feriti.

Molteplici sono le cause e gli eventi che hanno scatenato  questo moto: forte corruzione, sprechi di ingenti quantità di denaro, spesso a favore di una classe dirigente ristretta e poco attenta ai problemi della massa. Questi fattori poi portano a mancanza di politiche a sostegno dello sviluppo economico e sociale del paese, crisi di rappresentanza (le persone non si sentono giustamente rappresentate) e quindi, una completa sfiducia nella classe politica del paese. Tutto ciò implica anche un forte malcontento tra i giovani, emigrazione all’estero e, per l’appunto, proteste popolari. Molti sono stati anche gli episodi drammatici, segno di una situazione che ormai non poteva più essere contenuta: ad esempio la morte di Khaled Said, ventottenne egiziano ucciso di botte dalla polizia di Alessandria nel 2010; o, nella giornata del 17 gennaio 2011, la tragica decisione di un uomo di darsi fuoco, a imitazione di quanto compiuto dal tunisino Mohamed Bouaziz. Bisogna comunque ricordare che, alla base di tutto ciò, vi era e vi è tutt’ora una povertà diffusissima, sfruttamento, beni di prima necessità poco accessibili dalla maggior parte della popolazione, corruzione. 

Così alla fine più di 30mila giovani scendono in piazza Tahrir il 25 gennaio 2011, nel centro del Cairo, per opporsi al governo trentennale di Hosni Mubarak e per chiedere di affrontare il problema della povertà, di limitare la possibilità di candidarsi alle presidenziali a non più di due volte, nonché di abolire lo stato di emergenza; si chiedono anche le dimissioni del ministro dell'interno Habib el-Adly. Ha così inizio anche in Egitto quel periodo di proteste detto Primavera Araba.

L’appello di piazza Tahrir, non ascoltato, ha conseguenze molto drastiche: in quello stesso giorno un agente e un civile perdono la vita e decine sono i feriti; per di più, nella giornata del 26 gennaio, si contano più di 500 arresti.

L’assedio non si placa: il 2 febbraio viene introdotto il coprifuoco, ma neanche questo ferma i manifestanti, tra i quali aumentano i feriti. Il 3 febbraio si accende un intenso conflitto a fuoco, dove perdono la vita 10 manifestanti e dove si contano centinaia di feriti: Il Cairo è in uno stato di guerriglia urbana, si susseguono posti di blocco e checkpoint.

Finalmente, a seguito di intense trattative e di un braccio di ferro tra le opposizioni e il governo, Mubarak, dopo trent’anni, annuncia le sue dimissioni l’11 febbraio 2011.

Quindi lo SCAF (Consiglio supremo delle Forze Armate) prende in mano il potere, temendo la fine dello stato di emergenza in atto dal 1981 e abbozzando un progetto politico verso una “transizione democratica”; inoltre scioglie il Parlamento e propone varie riforme costituzionali da sottoporre a referendum il 19 marzo dello stesso anno.

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DEL 2012

Il referendum si conclude con il 77% dei sì e ciò porta alle elezioni parlamentari e presidenziali, che si terranno il 23 e il 24 maggio 2012.

Per la seconda volta nella storia dell’Egitto, vi sono stati almeno due candidati a contendersi la presidenza, dopo le contestate elezioni presidenziali del 2005 vinte dall’ex presidente egiziano Hosni Mubarak con oltre l’88 per cento dei voti.

Le regole per proporre la propria candidatura sono varie, tra cui essere nati in Egitto da genitori egiziani, non avere doppia nazionalità e non avere un coniuge straniero.

La tornata elettorale si svolge in due turni (23 e 24 maggio il primo, 16 e 17 giugno il secondo) ed è preceduta dall'esclusione di diversi candidati. Al primo turno si presentano come indipendenti anche Ahmed Shafiq e Amr Moussa, ex Ministro dell’Aviazione civile e ex Primo Ministro il primo, ex Ministro degli Esteri e ex Segretario generale della Lega Araba il secondo. Ciò provoca una denuncia di incandidabilità perché in aprile era stata promulgata una legge che vietava agli ex del regime di candidarsi: a due giorni dal secondo turno la Corte costituzionale egiziana dichiara incostituzionale tale provvedimento, quindi i due possono continuare la gara per la Presidenza.

Escluso il Partito Nazionale Democratico di Mubarak, i due principali oppositori sono la Fratellanza Musulmana con il Partito Libertà e Giustizia, guidato da Mohamed Morsi, e, per l'appunto, Ahmad Shafiq.

Fu Morsi a prevalere, con il 51% dei voti (circa 13.7 milioni) del secondo turno, nonostante  numerosi sondaggi condotti nelle settimane prima del voto vedessero in netto vantaggio Moussa, il quale è arrivato solo quinto, con 2,6 milioni di voti al primo turno.

Bisogna comunque ricordare che l’affluenza alle urne è stata piuttosto bassa (circa il 51% degli aventi diritto) e che molti votanti si pensa siano stati influenzati.

Tra il 2011 e il 2012, dunque, la Fratellanza ha conquistato tutti gli organi decisionali, ottenendo però magri risultati: ha attaccato i media e la giustizia, raggiungendo il poco invidiabile record di 24 denunce nei primi 200 giorni di governo per “insulti al presidente” (in trent’anni di dittatura di Mubarak c’erano stati solo quattro casi e 23 in 112 anni); ha usato milizie private per scoraggiare l’opposizione; durante il governo di Morsi il debito pubblico è passato in poco più di un anno da 33 a 45 miliardi di dollari

TAMAROD ED IL GOLPE DEL 2013

Tamarod (il Ribelle) è un movimento egiziano di opposizione nei confronti del Presidente Morsi. Nato all'inizio del 2013, in pochissimo tempo ha raccolto 22 milioni di firme per chiedere la destituzione di Morsi ed elezioni anticipate. Oltre a questo, il Consiglio della Shura (un organismo parlamentare consultativo) è stato sciolto e la Costituzione sospesa.

L’ascesa di Tamarod, che al momento non era strutturato come partito, si è determinata in parte per i fallimenti del governo Morsi, e in parte per problemi strutturali che affliggeranno anche il successore del presidente deposto. Tra questi ultimi, il fatto che malgrado una forma apparentemente democratica, a detenere di fatto il potere in Egitto erano i militari. A questo si somma la scarsa lealtà delle forze di Polizia verso le istituzioni.

Quindi, “sfruttando” le varie proteste anti-presidenziali, i militari riprendono il potere: il 3 luglio 2013 il generale Abd al-Fattah al-Sisi, capo delle Forze armate, sostituisce Morsi con Adly Mansour, capo della Corte Suprema Costituzionale. La Fratellanza non si piega e subisce una terribile ondata repressiva con la strage di Rabi’a al-Adawiya il 14 agosto, nella quale si contano più di 1000 morti. In seguito l’organizzazione viene dichiarata “terroristica” e i suoi dirigenti vengono prima condannati a morte e poi all’ergastolo.

La conseguenza degli eventi del 2013 è una nuova e più intensa ondata repressiva: ad esempio una delle prime espressioni è la promulgazione di una "legge sulle dimostrazioni" in cui si dice sostanzialmente che il Ministro degli Interni può proibire, posporre o cambiare di luogo  un incontro pubblico qualora vi siano informazioni allarmanti riguardo una possibile minaccia dell'ordine pubblico. Ciò comporta una significativa limitazione alla libertà di espressione e di protesta.

LA DITTATURA DI AL-SISI

In assenza di un parlamento eletto, alla fine del maggio 2014  (due anni dopo l'elezione di Morsi), si torna al voto per eleggere un nuovo Presidente. I votanti (46% degli aventi diritto) scelgono fra due candidati: il generale Abd al-Fattah al-Sisi e Hamdin Sabahi. Vince al-Sisi con il 96,1% dei voti (23.800.000) e Sabahi, che nel 2012 aveva preso circa 4.800.000 voti (il 27%), si ferma solo al 3.9%. 

Ben presto il regime diventa di tipo dittatoriale: nell'ottobre successivo vi è l'emanazione di un decreto grazie al quale, per ben due anni, tutte le strutture "vitali e pubbliche" passano sotto la giurisdizione militare: tutti i crimini/reati commessi devono essere sottoposti a processo presso il tribunale militare. Secondo il HRW (Human Rights Watch), "i giudici militari hanno presieduto processi contro civili in Egitto per decine di anni, ma nei mesi successivi alla rivolta del 2011, ad esempio, le corti militari egiziane processano almeno 12mila civili in base a una serie di accuse penali ordinali. La nuova legge espande enormemente la giurisdizione dei tribunali militari, dando ad essi l'autorità legale più ampia mai registrata dalla nascita della moderna Repubblica egiziana, nel 1952. Prima, la Costituzione e il Codice di giustizia militare egiziani limitavano le azioni penali dei tribunali militari ai soli casi che coinvolgevano le forze armate e le loro proprietà".

Nel periodo che va dalla deposizione di Morsi all'elezione di al-Sisi, sempre secondo HRW, vengono arrestate almeno 41mila persone (29mila associati alla Fratellanza), le condanne a morte e i processi irregolari aumentano, nuove leggi limitano fortemente qualsiasi tipo di libertà: si registrano sempre più detenzioni extragiudiziali e sparizioni forzate.

Il Presidente al-Sisi è stato rieletto a grande maggioranza dei voti nel marzo 2018, battendo l'unico sfidante Moussa Mostafa Moussa, leader del partito El-Ghad. Tutti gli altri candidati si erano ritirati dalla corsa presidenziale. Due di questi, appartenenti all'esercito, erano stati arrestati dopo aver presentato la propria candidatura. La vittoria nel contestato referendum ad aprile 2019, che modifica sostanzialmente la Costituzione egiziana e i poteri a disposizione del Presidente, gli garantisce una lunga presidenza, almeno fino al 2030. Un voto che essenzialmente ha mirato ad allungare i termini del mandato presidenziale (che è passato da quattro a sei anni, in maniera retroattiva), ampliandone contestualmente i poteri (maggior controllo sulla magistratura ordinaria e sugli organi di vigilanza giudiziari).

Bibliografia:

Lorenzo Declich, Giulio Regeni, Le verità ignorate. La dittatura di al-Sisi e i rapporti tra Italia ed Egitto, Alegre

Consulenza: Alberto Perinot

Francesca De Faveri - 4A